L'insediamento neolitico
L’ampio terrazzo di origine tettonica noto come “i Cueis” di Sammardenchia costituisce l’area principale di un vasto insieme di villaggi riferibili al Primo Neolitico (4500-4000 a.C.).
Su una superficie di oltre 600 ettari sono state infatti messe in luce tracce di sottostrutture antropiche e raccolti materiali ceramici, in selce scheggiata e in pietra levigata.
Gli abitati di questi primi agricoltori-allevatori popolarono quest’area per alcuni secoli, praticando una sorta di agricoltura itinerante con lo spostamento periodico delle sedi alla ricerca di nuovi terreni da mettere a coltura, ricoprendo con le loro testimonianze tutto il territorio del comune di Pozzuolo del F. e, in parte, di quelli limitrofi. La superficie complessiva interessata dai rinvenimenti fa di Sammardenchia il più vasto insediamento neolitico dell’Italia settentrionale.
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Nell’area dei Cueis sono in corso dal 1985, a cura del Museo Friulano di Storia Naturale e dell’Università di Trento con la collaborazione dell’Amministrazione di Pozzuolo del F., estese indagini stratigrafiche.
Sono state ad oggi scavate oltre 130 strutture preistoriche.
Si tratta generalmente di pozzetti cilindrici interpretati come silos sotterranei per la conservazione dei raccolti e successivamente colmati con i rifiuti degli abitanti dei villaggi.
Il loro riempimento si presenta generalmente di colore nero, ricco di sostanza organica, carboni, frammenti ceramici e manufatti litici. Si stimano a circa 5000 le sottostrutture preistoriche esistenti.
Si trova attualmente in fase di scavo una grande struttura (126) di oltre 120 mq di superficie e marginata da una canaletta, forse interpretabile come abitazione.
È ancora in corso di verifica la presenza di un vicino fossato preistorico, parzialmente cancellato dallo scavo di una struttura di drenaggio di età recente.
I materiali recuperati nel corso degli scavi e grazie alle raccolte di superficie permettono di ricostruire il quadro economico e culturale delle comunità neolitiche di Sammardenchia.
Nell’industria ceramica abbiamo una sintassi decorativa estremamente ricca (semplici linee incise, motivi a gancio, a spina di pesce, bande e figure angolari, fasci di pittura rossa e bruna) che si esprime su scodelle, piatti, vasi a fruttiera, tazzine carenate, boccali ansati e vasi ad alto piede cavo.
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Sono inoltre presenti vasi d’importazione dalla cultura padana di Fiorano, decorazioni con affinità centrodanubiane, forme vascolari e motivi meandrospiralici che permettono di istituire rapporti con la cultura dalmata di Danilo, probabilmente mediati attraverso il Carso triestino.
Lo strumentario in selce scheggiata annovera grattatoi, troncature, punteruoli, geometrici ottenuti con la tecnica del microbulino, lame ritoccate.
L’analisi microscopica di questi strumenti ha permesso di ricostruirne le funzioni: per tagliare e forare legno o pelli, per grattare, come elementi di falcetto per la raccolta dei cereali o del foraggio.
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Gli elementi in selce erano probabilmente montati su manici di legno, inseriti in serie fissate con l’ausilio di collanti naturali quali mastice o resina.
Risultano complessivamente recuperati oltre 300.000 manufatti in selce.
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Abbiamo inoltre 300 manufatti in pietre verde levigata: asce e accette di varia forma e dimensioni, scalpelli a doppio tagliente, asce-scalpello danubiane, bracciali-anelloni, pendenti forati.
L’analisi della provenienza delle materie prime conferma e arricchisce la trama dei rapporti intercorsi tra le comunità neolitiche friulane e quelle di altre regioni.
Oltre il 50% della selce risulta infatti provenire dal Veneto orientale, mentre le pietre verdi sono per oltre il 70% riferibili a fonti delle Alpi Occidentali (Piemonte). Nel nostro sito giungevano anche manufatti in ossidiana dalle isole Lipari e dai Carpazi.
Le datazioni, eseguite con il metodo del C14 sui carboni raccolti nelle strutture, indicano come già a partire da almeno la metà del I millennio a.C. in cronologia non calibrata l’area dell’Alta Pianura friulana fosse punteggiata dai villaggi di questi agricoltori.
Il mondo ideologico e spirituale di queste popolazioni ci ha invece rivelato dal ritrovamento a Sammardenchia di due venerine in terracotta, testimonianze di una matrice culturale comune con l’area balcanica ove questi oggetti sono particolarmente diffusi.
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Di particolare importanza il ritrovamento di una tazza carenata di tipo Fiorano associata ad un esemplare di “ceramica falloide”, oggetto cultuale proprio della Dalmazia.
Lo studio dei carboni ci permette di immaginare per questi villaggi neolitici uno scenario in cui aree agricole si aprivano in mezzo a più ampi boschi ove prevaleva la quercia caducifoglie, l’ontano, l’acero e il frassino.
Estesi noccioleti fornivano i loro frutti spontanei (sono infatti centinaia i resti di nocciole rinvenuti all’interno delle strutture scavate).
Erano oggetto di raccolta anche la mora da rovo e la ghianda. Le attività produttive vedevano la pratica di una coltura policerealicola (orzo, farro e piccolo farro) associata ad una più modesta orticoltura (piselli, lenticchie e fave).
È probabile che i campi agricoli venissero cintati con siepi di piante spinose.
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Fonte: Ministero per i beni culturali e ambientali
Soprintendenza archeologica e per i beni architettonici artistici ambientali e storici del Friuli Venezia Giulia
Itinerari della preistoria