Scuola Agraria
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IL PESO DI UNA STORIA
Seconda metà del 1800; periodo e anni particolari e significativi per l’Italia, per il Friuli e per il nostro territorio. Unificazione dell’Italia, un Friuli diviso tra il Regno d’Italia e l’Impero Austroungarico. Anni di fermento politico, economico, sociale e culturale; anni di crescita e di miglioramento del livello e della qualità della vita anche a Pozzuolo. In questi anni non c’è solo la nascita della Scuola Agraria ma c’è anche la nascita della Banda musicale, tuttora viva e funzionante e vero laboratorio culturale; c’è la filanda che per quasi un secolo ha dato lavoro e sostentamento a centinaia di famiglie, generazione dopo generazione; c’è la ricostruzione della Chiesa e del Campanile; insomma un periodo fecondo sotto molteplici aspetti caratteristici di una comunità.
Dal 1881 ad oggi la Scuola è stata partecipe e testimone della vita del nostro paese.
Ha visto all’opera le turbine e le centraline costruite sulla roggia e accanto ai mulini, per generare l’energia elettrica e illuminare le strade del nostro paese, ancora agli inizi del 1900; ha visto la Prima Guerra Mondiale, la battaglia di Pozzuolo del 1917, è stata profuga a Grottaferrata durante l’occupazione austriaca; è stata testimone della Seconda Guerra Mondiale e sede dei comandi tedeschi prima e inglesi poi, ha visto Cosacchi e Partigiani; ha subito i danni del terremoto del 1976; ha percorso, dal 1881 ad oggi, tutta l’evoluzione e i cambiamenti delle riforme della scuola in Italia; ha vissuto e contribuito a tutti i cambiamenti sociali-economici-didattici dell’istruzione e della formazione agricola, a tutti i cambiamenti della meccanizzazione e della chimica in agricoltura; è stata a carico della comunità e dell’Amministrazione Comunale di Pozzuolo per oltre 20 anni; ha finalmente ora una nuova sede con quasi tutte le strutture necessarie per una scuola moderna.
Oggi però è anche, ma soprattutto, ricordo e memoria; è memoria storica; è memoria di persone (uomini, donne e giovani); di quelle persone che nella Scuola Agraria ci hanno creduto, di quelle che ci hanno studiato, di quelle che ci hanno lavorato.
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Qui oggi con noi ci sono dei giudici, ci sono delle persone che stanno valutando, che osservano come funziona questa Scuola. Sono persone invisibili ma io sento, noi sentiamo, la loro presenza.
Sono le migliaia di studenti che dal 1881 ad oggi hanno studiato sui banchi, nei laboratori e nell’azienda agricola, che sono usciti con un diploma ma soprattutto preparati per il mondo del lavoro.
Sono le centinaia di persone che in questa Scuola hanno dedicato un’intera vita di lavoro; sono i bidelli di ieri, che dovevano accendere una per una tutte le stufe di tutte le stanze della scuola e che tenevano pulite le aule; sono quelle persone che dovevano portare l’acqua con i secchi al secondo piano nell’appartamento del Direttore; sono quelle persone che dovevano curare il parco, il giardino e le aiuole; sono quelle persone che preparavano i pasti nella grande cucina, che apparecchiavano il refettorio, che lavavano a mano centinaia di stoviglie; quelle persone che lavavano e stiravano lenzuola, coperte, tovaglie, divise, biancheria; sono quel1e persone che lavoravano nella vigna, nei campi, nel frutteto, che accudivano gli animali. Mi fermo qui.
Tutti i loro nomi e le loro storie riempirebbero libri interi, ma in effetti tutti sono dentro e fanno parte di questo grande e non scritto libro di famiglia che è questa Scuola: la Scuola Agraria di Pozzuolo. La presenza ancora meno visibile, ma certamente più severa, è quella della Cecilia Gradenigo Sabbatini. Donna che con una lungimiranza incredibile per quei tempi (purtroppo certe volte anche per questi tempi), pensò, ideò e rese possibile la Scuola Agraria. Lei è qui; giudica cosa stiamo facendo, come ci comportiamo con la sua creatura e valuta con quale spirito lo facciamo.
Ecco, su tutti noi, che a vario livello rivestiamo ruoli e abbiamo compiti legati a questa Scuola, sento questi occhi, queste presenze, questa memoria storica.
Forse il fatto di essere un pronipote di un alunno del primo anno scolastico (1881-1882) e del quale conservo ancora il libretto con su scritto “matricola n. 1” mi fa sentire ancora di più parte e partecipe di questa Scuola; come parte e partecipe si sente, o dovrebbe sentirsi, tutto il paese e tutta la comunità di Pozzuolo.
Marco Chiavon
STORIA DI UNA SCUOLA
Fare la storia di una scuola, una “Reale Scuola Pratica d’Agricoltura”, non è solo indicarne l’origine, i fondatori, gli obiettivi di fondo, i programmi didattici, lodarne i successi ed i progressi, criticarne le polemiche e le sconfitte, annotare i cambiamenti di denominazione nel tempo. Una scuola non è solo edifici, mura, mense, laboratori, materie, registri, esami per i quali, comunque, si discute e si lotta. Una scuola è, in fondo, un sogno, un’utopia che talvolta si realizza, altre volte invece si infrange tra gli scogli di interessi opposti o diversi, di burocrazie elefantiache,di mentalità piccine o arretrate,di risorse economiche ed umane insufficienti.Una scuola è il sogno, l’utopia che la cultura, l’istruzione non solo possano servire ad una singola persona,per sè stessa, ma che contribuiscano soprattutto a cambiare concretamente la qualità della vita di una comunità, di un popolo, in un determinato e non troppo lontano periodo storico. Analizzare la storia di una scuola significa dunque seguire il percorso di questo sogno che credo, in qualche modo, abbia avuto la stessa nobildonna Cecilia Gradenigo, vedova Sabbatini, quando scrisse e poi consegnò il proprio testamento al notaio Someda di Udine nel lontanissimo marzo del 1864.
Proprio lei, donna ricca ma senza figli, volle dare qualche cosa di sè e del suo considerevole patrimonio di famiglia a coloro i quali non avevano nulla se non i loro figli. Proprio lei volle creare a Pozzuolo un Istituto che fosse: “... pei figli orfani del contadino povero...”. In quel periodo, a metà circa dell’800, non tutti pensavano che dare qualche speranza ai contadini poveri, o ai loro altrettanto poveri eredi, servisse realmente per migliorare l’agricoltura. Anzi, più di qualche proprietario terriero anche in Friuli riteneva che fosse praticamente inutile un’istruzione per i contadini. E allora la donazione testamentaria della Cecilia Gradenigo che cos’era se non un sogno per quei tempi?
Altrettanti sogni furono quelli dei primi direttori dell’Istituto, i professori Luigi Petri, Antonio Rossi, Italo Rossi. Il primo tra essi, esperto soprattutto in zootecnia, capì l’importanza di una scuola per lo sviluppo e la crescita di un territorio. Egli infatti utilizzò le conoscenze che aveva e quelle degli altri collaboratori della scuola per creare il primo Circolo Agrario locale della provincia friulana che stimolò molto soprattutto il miglioramento delle razze bovine e dell’allevamento in generale. Contribuì, inoltre, all’organizzazione di iniziative, mercati, fiere, premi per sviluppare un uso più razionale e moderno delle diverse razze bovine in Friuli. Possiamo dire che anche Luigi Petri e la Scuola Pratica d’Agricoltura di Pozzuolo fecero comprendere in quei lontani tempi che le mucche non servivano solo per i duri lavori nei campi, o come carne da macello, ma si dimostrò l’importanza di ottenere una produzione lattiera di qualità. Tale concetto sarà alla base, tra la fine dell’800 ed il primo ’900, della nascita di molte latterie, spesso di tipo cooperativo.
Che dire poi dei sogni dei professori Rossi, (Antonio il padre e Italo il figlio) i quali non solo accrebbero l’autorevolezza e la stima nei confronti della Scuola di Pozzuolo di tutta la società provinciale ed anche di altre zone d’Italia, ma fecero soprattutto dell’Istituto un centro di nuove, più moderne e più diffuse conoscenze per le classi rurali friulane. Il prof. Italo Rossi fu il direttore della scuola durante i tragici anni della Prima e, in parte, della Seconda guerra mondiale, sostituito poi dal prof. Antonio Di Gaspero Rizzi. Egli accompagnò la scuola nella profuganza tra il 1917 ed il 1918 durante la Grande Guerra, fino alla lontana abbazia di Grottaferrata, nel Lazio. Qui riuscì, nonostante gravi difficoltà e scarsi mezzi economici, a fare della scuola uno strumento talmente importante che da più parti si chiese che la stessa, alla fine del conflitto, non lasciasse Grottaferrata, ma anche se con insegnanti e direttore diversi potesse continuare a dare il suo contributo per lo sviluppo dell’agricoltura di quella zona. Ed è certo significativo che nel 1919, a guerra appena conclusa, e a scuola appena riaperta a Pozzuolo,vi fosse il maggior numero di iscritti all’Istituto dei successivi cinque anni. Evidentemente si erano create le premesse per far ritenere alla gente che il sogno poteva realizzarsi, che cioè la scuola era uno dei pochi strumenti che potesse permettere alle classi contadine, appena uscite dal conflitto, di sperare in un avvenire migliore.
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Non sempre, purtroppo, è stato così; non sempre si è ritenuto che la cultura e l’istruzione nel settore agricolo potessero avere delle chances, delle possibilità, nei confronti dei nuovi “miti industriali” in tempi ben più recenti. E così si è rischiato di disperdere quel grande patrimonio accumulato in precedenza ritenendo erroneamente che tutto ciò che era legato all’agricoltura fosse qualche cosa di arretrato, vecchio, che non produceva più “speranza”, “sogno”, “utopia”. E se l’agricoltura era solo il passato e non si vedeva un futuro, allora non era il caso, dunque, di “investire” né risorse umane, né risorse economiche in tale scuola.
Si rischiò, veramente, di “buttar via il bambino con l’acqua sporca” come dice di non fare un celebre motto. Era questa, in realtà, la premessa per la morte culturale della Scuola Agraria di Pozzuolo che aveva rappresentato un fiore all’occhiello della comunità locale. Le ripercussioni furono pesanti e ben descritte nelle diverse memorie che riportiamo in questo testo: uno sfilacciamento nei rapporti con l’Opera Pia Sabbatini; una cessione, in pratica, della prestigiosa sede ad un altro ente; una suddivisione in diversi edifici di Pozzuolo delle strutture scolastiche; una perdita di credibilità e di fiducia; un reale rischio di chiusura definitiva a metà degli anni settanta.
In questo volume si segue dunque un percorso che non sempre è di tipo progressivo, ma presenta picchi talvolta molto alti ed altri piuttosto bassi, durante i quali è accaduto anche che la fiducia nei confronti della funzione positiva della scuola fosse veramente di pochi.
Giacomo Viola
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