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Arrigo Ghinelli

Memoria di Arrigo Ghinelli sul combattimento del giorno 30 ottobre a Pozzuolo del Friuli (Dal libro: Oltre le Trincee, edito da Aghe di Poç nell’anno 2005)

Nato a Ferrara il 19/6/1898. Parte volontario per la Grande Guerra, in un reggimento di Bersaglieri. Viene successivamente promosso Caporale. Nel 1917 partecipa alla battaglia di Pozzuolo del Friuli.
Successivamenteviene lievemente ferito ad una mano da una scheggia di granata.
Viene arruolato fra i Volontari Ciclisti Automobilisti (V.C.A.) appartenenti al Corpo dei Bersaglieri. Nel Settembre 1919 è di stanza a Castelnuovo, quale autista di autoblindo. Il loro compito è di presidiare il fronte orientale. Il 12 Settembre, vengono raggiunti dalla colonna di Arditi che marciano su Fiume. Vengono convinti da una arringa del Comandante D’Annunzio, e partecipano all’impresa. Mio nonno lascia Fiume nel Settembre 1920, dunque prima
del “Natale di sangue”. Non ha mai ricoperto incarichi di rilievo. Non conosco i motivi della sua defezione, probabilmente questa va ricercata nella progressiva degenerazione
della situazione, e nel dissenso di vari illustri esponenti (primo fra tutti il Gen. Sante Ceccherini per cui mio nonno aveva una venerazione).
Torna dunque alla vita civile, e si sposa con Enrica De Paoli (1899 – 1996), che gli dà due figli: Antonio (1921–1945), partito militare di leva durante la 2 Guerra Mondiale; dopo l’8
Settembre deportato in Germania, al Campo di Celle ed ivi deceduto, per mano inglese, durante uno sconsiderato mitragliamento ad opera della RAF e Regina, mia madre (1925), tuttora vivente.
Come molti reduci si trova ad affrontare ben presto i contrasti post-bellici; i moti di piazza lo coinvolgono direttamente e viene più volte aggredito. In un episodio ricorda di essere stato circondato, assieme ad un suo commilitone, da un centinaio di facinorosi presso i Giardini di Porta Venezia, a Milano, e di averli messi in fuga rimovendo le sicure a due bombe a mano e minacciando di gettarle fra i dimostranti. Aderisce subito al partito fascista, cui resterà sempre fedele, pur senza aver mai ottenuto posizioni di prestigio.
Nell’immediato dopoguerra trova impiego come geometra al Comune di Milano.
Nel 1935-1936 è volontario in Abissinia. Allo scoppio della 2 Guerra Mondiale è nuovamente volontario: viene incaricato della difesa antiaerea di Milano, al comando di una postazione di artiglieria. Si vanterà di essere riuscito ad abbattere un aereo alleato, durante un bombardamento.
Il 25 aprile si trova ad essere custode di una cospicua somma di denaro (£. 500.000 dell’epoca). Nello sbandamento generale la sua unica preoccupazione è quella di rintracciare il suo direttore superiore, cui affidarla. Riconosciuto da un gruppo di partigiani, viene immediatamente condannato a morte quale fascista, ma viene salvato dalla testimonianza di alcuni abitanti del quartiere, chedichiaravano la sua rettitudine. Successivamente, per la sua militanza nel partito fascista, veniva collocato a riposo; inoltrava ricorso e veniva successivamente reintegrato.
Negli anni ’50, ormai in pensione, si trasferiva in Liguria, con la moglie (Alassio, quindi Rapallo). Come molti Reduci spendeva buona parte del proprio tempo libero nella frequentazionedi Associazioni combattentistiche, e nella corrispondenza con vari storici e giornalisti.
In particolare partecipò assiduamente alle riunioni dell’Associazione ex-VCA, alla quale nella metà degli anni ’60, mi iscrisse, quale simpatizzante (all’epoca, avevo poco più di
dieci anni), e mi condusse con lui a varie manifestazioni rievocative.
Risale sempre alla fine degli anni ’60 la querelle da lui intessuta con politici, giornalisti e storici in merito alle vicende di Pozzuolo del Friuli: aveva appreso casualmente che l’impresa di aver ritardato l’ingresso nell’abitato delle truppe nemiche era stata attribuita al Magg. Sante Ghiottoni (figura che comunque lui definì sempre eroica), e, avvalendosi delle testimonianze di altri reduci che avevano partecipato al combattimento, e di documenti pazientemente
ottenuti, riuscì a cambiare versione ufficiale dei fatti, e ad ottenere la promessa di una medaglia d’oro al Valor Militare (della quale era stato insignito il Magg. Ghiottoni), senza tuttavia
riuscire a entrarne mai in possesso. Tornato a Milano, si spegne nel capoluogo lombardo il
23 Settembre 1978.

dott. Antonio Bonelli

GIORNATA DEL 30 OTTOBRE 1917 A POZZUOLO DEL FRIULI


Il cannone tuona ininterrottamente lontano. Qualche granata fischia altissima sulle nostre teste.
Quali saranno i bersagli?
Siamo nelle vicinanze di Santa Maria la Longa, provenienti dal Monte San Marco di Gorizia e colpiti (come tutti del resto) dalla sciagura di Caporetto.
Arriviamo in paese verso sera. Piove in continuazione da un po’ di giorni e siamo ridotti come spugne. Nessun civile in giro. Quasi tutti i borghesi sono fuggiti per la paura dei “croati” mentre pochi altri sono rintanati dietro gli usci sbarrati delle loro case. I negozi invece sono tutti aperti ed abbandonati e rivelano il passaggio di altre truppe in ritirata. Noi non possiamo fare in modo diverso, siamo dei fanti (seppure piumati) della 849° Compagnia Mitraglieri Fiat Bersaglieri aggregati alla Brigata Bergamo (25° e 26° Fanteria) ed anche noi riempiamo il nostro tascapane di scatolette e di altri generi mangerecci. Terminato il veloce rifornimento, in marcia per chissà dove.
Ci comanda un Aspirante Ufficiale, un toscano di nome Bertolucci. Arriviamo a Pozzuolo del Friuli che è quasi buio e ci fanno mettere sotto un porticato per passarvi la notte.
Il mattino in piedi molto presto in quanto si cominciano a sentire, seppure lontane, delle fucilate. Passano le ore della mattinata e si indovinano dei violenti combattimenti in corso, dalle sparatorie che si stanno sempre più avvicinando. I Reggimenti di Cavalleria Genova e Novara che contengono il nemico, si danno da fare e fino ad ora, sembra, che riescano nell’intento di assolvere il compito a loro affidato malgrado la forte superiorità del nemico.
E’ mezzogiorno e ci rifocilliamo con le scatolette prelevate ieri a S. Maria la Longa. Passa ancora qualche ora. Sono circa le ore due pomeridiane.
Intanto notiamo che i combattimenti si stanno sempre più avvicinando al paese ed infatti poco dopo l’Ufficiale che comanda la prima Sezione della nostra Compagnia viene fatto chiamare da un maggiore di cavalleria, che evidentemente ha l’incarico della difesa del Paese. L’ordine che gli dà è quello di portare le sue due armi fuori dall’abitato ed agli ordini di un capitano di cavalleria. Non ne sapremo più niente. Noi intanto bivacchiamo sempre sotto il portico ed attendiamo gli eventi.
Sarà passata forse una mezz’ora ed il maggiore da chiamare l’Ufficiale che comanda la seconda Sezione e la fa spedire sul campanile della chiesa.
Non passa più di un quarto d’ora ed il maggiore fa chiamare il mio Ufficiale che comanda la terza Sezione e gli ordina da far piazzare una mitragliatrice nel cortile di una casa alla periferia del paese e la seconda a pochi passi da lui da dove sta dirigendo tutte le fasi della battaglia. Io sono caporale tiratore.
La piazza è di forma rettangolare con quattro strade che vi convergono leggermente aperte rispetto alla line dei fabbricati. In mezzo alla piazza trovasi una grossa “cavalla” di ghiaia di rigorosa forma trapezoidale dietro cui trovasi, scarsamente riparato, il maggiore. Da quel posto egli può controllare d’infilata tute le quattro strade e per un bel tratto.
La posizione deve mi è stato ordinato di piazzare la mitragliatrice trovasi accostata al muro di sinistra della piazza quasi all’angolo della strada che conduce a Mortegliano. Lungo i muri di questa strada il mio Ufficiale fa disporre tutti i bersaglieri della Sezione. La posizione è protetta e ben riparata dai colpi nemici.
Provvedo a sistemare la mia arma e le cassette delle munizioni disponendole come piccolo riparo davanti al mio servente di sinistra che ha il compito di tenermi sempre caricata l’arma. Io sono sdraiato ventre a terra, mento nel fango, occhio al mirino e sono quasi (dico quasi) completamente coperto dai tiri nemici dal notevole ingombro della mitragliatrice. Il servente di destra, che dovrebbe manovrare il bidone dell’acqua per il raffreddamento della canna, non c’è perché scappato chissà dove e non vi è tempo per cercarlo.
Sto appunto terminando di sistemare arma e munizione e sento alle mie spalle un gran rumore di zoccoli. Infatti, quasi immediatamente, dalla strada per Mortegliano sbuca e mi passa sulla destra al gran galoppo, un Reparto di cavalleria che si infila poi, nella strada da dove provengono i combattimenti proprio dalla parte opposta da dove mi trovo. Il maggiore mi stava spiegando che lo sbocco di quella strada sulla piazza era il mio bersaglio sul quale io avrei dovuto sparare, ma solo però e soltanto dietro un suo preciso ordine.
Il contatto dei cavalieri col nemico è stato quasi immediato. Una furiosa fucileria rivela che i nemici sono vicinissimi. Lo scontro è stato certamente sanguinoso perché durato troppo poco (5-6 minuti) e, purtroppo, con il sopravvento dei tedeschi che, con le notevoli forze disponibili hanno costretto i nostri a ritirarsi decimati e rifare la strada percorsa poco prima.
A questo punto il maggiore si volta verso di me e ripete l’avvertimento di non sparare perché i soldati che si stanno ritirando, e che io non potevo ancora vedere, erano i cavalieri quasi tutti appiedati. Mi disse inoltre di stare pronto che sarebbe mancato poco all’ordine di fuoco. Io ero pronto e perfettamente calmo.
Passa qualche secondo e finalmente sento il grido “Fuoco” e contemporaneamente vedo figure umane urlanti sfociare sulla piazza. Il mio fuoco li inchioda dopo un solo passo. Sparo un centinaio di colpi ed i loro gridi di guerra si mutano in gridi di dolore e di morte. Tutti si abbattono colpiti più o meno mortalmente formando un gran mucchio dolorante impedendo ai sopraggiunti di passare.
Approfittai della pausa per girarmi verso il maggiore ed averne un cenno di approvazione. Lo vidi invece fare una smorfia di dolore e piegarsi sul lato sinistro comprimendosi il ventre. Capii subito trattarsi di una ferita grave.
Dovetti abbandonare la vista del ferito perché obbligato a riprendere il fuoco verso altri tedeschi che, un poco più cauti però, avanzavano sopra i cadaveri. Ancora altri morti ed un altro momento di pausa. Ne approfittai per voltarmi ancora verso il maggiore e lo vidi offrire la sua pistola ad un Ufficiale invitandolo ad ucciderlo. L’Ufficiale si ritirò inorridito ed allora il maggiore puntandosi la pistola alla tempia e rivolto verso il nemico urlò “Da vivo non mi avete” e sparò. Tutti gli Ufficiali che gli facevano corona scomparvero immediatamente.
Ripresi a sparare man mano che qualche gruppo si faceva vedere pur con la massima cautela. Ad un certo punto riaccorgo che l’arma non spara più. Un’occhiata mi rivela che è scarica. Tocco energicamente il braccio del mio servente ed il suo corpo si rovescia mettendo in evidenza un foro sanguinoso sopra la tempia destra. Non persi un attimo ed arraffai un paio di cassette di munizione e ricaricai l’arma. Sparai due caricatori ed i nemici si ritrassero ancora.
Qualche secondo di pausa mi permisero però di vedere da che parte mi veniva il pericolo. Proprio di fronte a noi, qualche metro più a destra del mio bersaglio, era un muretto alto circa un paio di metri (probabilmente un muro di cinta di qualche orto) da dove sporgevano le sagome di tre “cecchini”. Non ci volle molto a capire che la morte del maggiore e quella del mio servente era tutta opera loro: Il dramma consisteva nel fatto che io non potevo modificare il tiro della mia arma perché la distanza dei nemici sulla strada era tanto minima che in un attimo di distrazione nel tiro mi avrebbero preso per il collo.
Quello che doveva succedere è successo. Dopo ancora avere sparato qualche caricatore la mitragliatrice si inceppò con un colpo in canna. L’acqua per il raffreddamento, non avendo funzionato, è stata la causa dell’incidente. L’estrattore necessario a riparare l’inconveniente si trovava nella tasca del servente. Non mi sarebbe stato possibile cercarlo. Ed allora non rimaneva che levare la “chiavetta” necessaria al funzionamento dell’arma fare dietro front e darmela a gambe. Così feci.
Mi voltai con la certezza di trovare dietro di me i miei compagni bersaglieri. Non vi era anima viva. Nei periodi di trincea e sotto furiosi bombardamenti non ho mai provata la paura come in quel momento sentendomi solo. Il pericolo di poter essere fatto prigioniero mi dominava.
Ad ogni modo la paura mi fece ricordare che avevo 19 anni ed ero un bersagliere. La mia corsa verso Mortegliano non ebbe sosta fino ai pressi del paese quando raggiunsi i resti del mio Reparto.
In un Ufficio (chissà quale) l’Ufficiale mio mi fece fare una relazione del fatto d’armi e mi fece stendere un verbale di morte del mio servente. Povero Monti Erminio classe 1898 del distretto di Milano. Mio caro amico anche da borghese. L’Ufficiale mi promise anche una proposta di decorazione al valore. Chi la vide mai?
Comunque in marcia per Latisana. Sono circa trenta chilometri che si percorrono senza quasi mai fermarsi per arrivare al ponte sul Tagliamento. Il ponte è continuamente invaso da Reparti in ritirata e deve essere controllato da carabinieri che ne regolano il passaggio dando la precedenza alla formazioni che sono inquadrate con i loro Ufficiali.
Il nostro turno tarda ma poi infine viene. Siamo passati per il rotto della cuffia. Infatti dopo il passaggio di numerosi carriaggi il ponte viene fatto saltare dai militari del genio.
A marce forzate (quanti giorni ma?) arriviamo a Pandino nelle vicinanze di Lodi a circa una trentina di chilometri da Milano.
Pandino è la località destinata a ricevere tutti i mitraglieri di ritorno dal fronte, per poterne poi costituire delle nuove Compagnie.
Qualche giorno di riposo e poi, composta la 633 Compagnia Mitraglieri Fiat Bersaglieri partenza per il Monte Grappa.

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